La situazione di Maggie e Cliff
Cliff stava andando al lavoro. Maggie come tutte le mattine se ne stava lì ad aspettare di vederlo spuntare da dietro l’angolo diretto alla fermata del bus. Eccoti, pensò Maggie. Cliff si voltò e la trovò subito con lo sguardo. Poi sorrise e agitò il braccio, la mano aperta, come un bambino.
Siamo distanti io e te, pensò Maggie. Eppure tutte le mattine, quando questa scena si ripeteva, aveva sempre la sensazione di vedere negli occhi di suo marito, qualcosa, che a parole Maggie proprio non saprebbe spiegare. Un sentimento sincero, la cui immagine le sembrava tanto più nitida quanto Cliff le era fisicamente più lontano, proprio come in quel momento.
Mi vuoi bene, a modo tuo, come è giusto che sia, come tutti facciamo, si disse.
Sue stava finendo i suoi Kellogs®. La guardò e pensò. È proprio una fortuna che di me abbia ripreso solo la linea delle sopracciglia, che in fondo è l’unica cosa che salverei del mio viso, osservò. La linea delle sopracciglia?, le avrebbe ripetuto ridendo Cliff se solo avesse potuto ascoltarla.
Parli strano, le diceva sempre. Sono una bibliotecaria, gli rispondeva.
Sì tesoro, ora però corri a vestirti, così ti accompagno a scuola, fece Maggie a Sue. Toh, il mio viso, pensò quando si accorse di essere davanti allo specchio. Ogni volta era per lei una sorpresa arrendersi all’evidenza di quanto la sua immagine la infastidisse. Ma oggi voglio stare allegra, canticchiò e allora corse davanti alla foto sulla mensola all’ingresso. La foto ritraeva Cliff e Maggie, poco più che ventenni nell’estate del 1990 felici come forse non erano più stati. Nei tratti distesi di quella loro espressione svagata Maggie trovava sempre il coraggio necessario per andare avanti. E così fu anche quella mattina. Sorrise e finì di sparecchiare.
Sue la guardava dalla fessura tra la sciarpa e il cappello, tirandole la manica del cappotto. Ora era lei a raccomandarle di fare presto. Maggie le rispose ridendo che era la prima bambina che le fosse mai capitato di vedere impaziente di andare a scuola. Erano già per la scale quando Sue le spiegò che quel giorno era diverso e le parlò di colori, di composizioni e di Phoebe che aveva un gatto nuovo e che lo avrebbe portato in classe, se la maestra glielo permetteva. Maggie la ascoltava in silenzio, stringendole la mano e le sembrava di vederle mentre camminavano per il viale che separa la casa dalla scuola e che è sempre così tranquillo.
Passo dopo passo sfilavano al loro fianco alberi alti e spogli i cui rami si stagliavano nodosi tra i lembi di un cielo cupo e basso. La malinconia e la miseria di quello scenario avevano su Maggie un fascino inspiegabile e che la rendeva serena. Pensò ai versi di una poesia.
Parli strano Maggie! Sono una bibliotecaria, si disse.
La sera prima Cliff le aveva confidato tutta la sua angoscia, la paura di poter perdere il posto. Anche lui, come gli altri alla Menands Fedex®. Aveva gli occhi rossi e stringendo i pugni le aveva ripetuto per l’ennesima volta che aveva sbagliato a lasciare il college. Le aveva parlato con rassegnazione, quasi sussurrando, e poi si era addormentato.
Cliff, non ce l’ho con te. Per niente, credimi, aveva pensato Maggie. Eppure nel sentire che aveva preso sonno così facilmente, si era sentita maledettamente irritata. Era notte fonda quando si era alzata e era andata in bagno. Aveva chiuso la porta e con l’asciugamano premuto contro il viso aveva pianto.
Maggie non sapeva il perché. Non sapeva cosa ci fosse che non andava. Forse è che tu hai sempre qualcuno lì pronto ad ascoltarti, forse è che tu sai sempre girarti su un fianco e addormentarti, come se nulla fosse, aveva pensato.
Chiusa nel loro piccolo bagno, Maggie aveva aveva pianto in silenzio per non svegliarli.
Si era tolta la maglia dei Knicks con cui dormiva, bagnata di sudore e lacrime, e aveva messo la testa sotto al rubinetto aperto. Non era riuscita a ricordarsi quando Cliff gliela avesse regalata e questo pensiero si era mischiato insieme agli altri mentre se ne stava seduta seminuda sul bordo scrostato della vasca, l'asciugamano logoro e umido in mano, aspettando che il respiro le tornasse regolare.
Maggie aveva pensato a molte cose mentre la notte passava lenta.
Alla fine aveva trovato una maglietta pulita nella cesta dei panni da stirare ed era ritornata a letto. Nella quieta luce bianca della luna aveva spiato l’espressione distesa del viso Cliff. Nonostante il fatto che abbiamo la stessa età tu sembri più giovane e questo credo che mi dispiaccia, pensò Maggie.
Ogni volta che pensava al viso Cliff, Maggie sentiva nuove paure nascerle di dentro, ma non aveva mai avuto il coraggio di affrontarle, di razionalizzare il timore che aveva di perderlo e così finiva sempre per fuggire nelle isole felici della sua mente.
E così ho fatto questa notte, correndo con il pensiero ai tanti episodi della nostra vita da ragazzi, si disse Maggie ripensando a tutto sulla strada che dalla scuola di Sue l’avrebbe portata alla Biblioteca. Ricordi quella volta che andammo Portland? E quella sera a casa dei Santagata, quando facevo da baby sitter al piccolo Julius? Aveva pensato Maggie, la notte precedente cercando di prendere sonno.
Si era persa ormai in un torpore che non era né sonno, né ricordo, aveva disteso il braccio a cercare il cuscino e aveva sentito la sua mano fermarla. Cliff l’aveva guardata senza dire nulla, sorridendo, gli occhi semichiusi. Ripensandoci Maggie si convinse del fatto che doveva averlo guardato con un'espressione davvero incredula. Cliff le aveva sorriso e le aveva sussurrato due parole. E Maggie era stata felice.
Avevano fatto l’amore e Maggie lo aveva stretto a sé con tutte le forze che aveva. Ma anche ora mentre si sedeva al suo tavolo ed accendeva il pc, mentre suonava piano il jingle di Windows™ ricordava tutto con molta confusione. Ricordava la loro tenerezza ed il piacere che l’aveva sorpresa in bilico tra il riso e il pianto. Poi Cliff l’aveva lasciata e l’aveva guardata negli occhi e anche se era buio Maggie aveva riconosciuto sul suo viso un’espressione complice e impertinente e che l’aveva fatta ridere. Anche Cliff aveva riso.
Mentre il telefono squillava e qualcuno le parlava di nuove accessioni e sul display del suo Nokia® lampeggiava il promemoria REGALO PER SUE! Maggie ripensò a quei momenti quieti in cui lei e Cliff se ne erano stati distesi ancora ansimanti. Maggie aveva fissato a lungo un punto sul soffitto.
Avrei voluto dirti tante cose Cliff, avrei voluto chiederti di fare ancora l’amore, fino al mattino, ti avrei voluto baciare e gridarti tutta la mia gratitudine perché erano giorni che mi sentivo persa e tu ora mi avevi fatto ritrovare, mi sentivo ridicola ma non mi importava, pensò mentre la sua collega Elisabeth Ross, per le amiche Lizzy, le mostrava il suo nuovo paio di stivali Gucci® che il suo Ted le aveva regalato la sera prima.
Quando si era voltata verso di lui, Cliff si era già riaddormentato.
Sai quello che mi passa dentro, stupido? Te ne importa almeno? Avrebbe voluto urlargli. Ma tacque.
Si era stretta a lui e lo aveva baciato lievemente sulla spalla, attenta a non svegliarlo ancora.
Non riuscivo ad avercela con te. Non riesco mai ad avercela con te Cliff, si disse mentre Lizzy le chiedeva a cosa stesse pensando.
Maggie aveva chiuso gli occhi e nella stanza buia e silenziosa aveva sussurrato qualcosa che era risuonato lieve tra le lenzuola. E poi ancora insistentemente nella sua testa per minuti e minuti. Fino a che non si era addormentata.
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