the dust of bunker hill

Thursday, May 18, 2006

Bye bye black bird

Ecco la sola cosa buona che era rimasta della loro storia. Il quintetto di Davis riempiva il piccolo appartamento mentre Eddie ancora col North Face® Nuptse addosso si lasciava sprofondare nel divano.

Puttana, pensava. Quella puttana mi ha proprio fregato.

Denise, Denise…

Fuori l’aria fredda di Troy era scossa dal vento e la gente stentava a tenersi in piedi. Aria di neve, si disse.

Dalla finestra della cucina, vide una busta con il logo del negozio di Jethro volteggiare all’altezza del secondo piano della biblioteca. Vide Maggie, dietro i vetri rovesciarsi addosso una tazza di caffè e poi abbracciare Spike, il suo gatto, sorridendo. Dolce Maggie, Cliff deve essere davvero un idiota per trascurare quel fiore, pensò.

Si spogliò, si guardò attorno. Che orrenda carta da parati, ma dove se ne stava lui mentre quella stronza riduceva il suo appartamento a una bomboniera? L’orribile gusto provinciale del Midwest, pensò e fece per sputare, ma si trattenne. Come sono educato, si disse.

Domani Denise sarebbe passata per portare via le sue ultime cose approfittando dell’assenza di lui, fuori città per lavoro e forse, forse, avrebbe portato via anche tutti i suoi orribili ninnoli, pensava.

Eddie, che aveva sempre vissuto a Manhattan e che lavorava oramai da due anni all' Albany Medical Center, nascosto nella sua sciarpa gialla, si versò tre dita dalla bottiglia Cragganmore che un suo paziente gli aveva portato dall’Europa e si sedette, ridendo di quella volta che Denise tornò a casa con un JD sotto il braccio.

Era oramai più di un mese che non si vedevano, che era ritornata a casa dalla madre nell’abisso da dove era venuta. Quel mese lui lo aveva trascorso proprio come stava passando questo quarto d’ora di ritorno dall’ospedale: buttato sul divano a cercare di capirci qualcosa.

Eddie, che era poco più un ragazzo.
Eddie che non aveva mai chiesto un dollaro a Jack e Hilary, i suoi imbalsamati genitori, oramai da anni tumulati vivi nella loro villetta nel Maine.
Eddie che aveva sempre studiato, studiato e lavorato.
Eddie che conosceva l’arte e amava l’architettura e aveva stupito tutti quella sera a casa di Randy Cobham quando dinanzi a Hal Foster aveva discettato sull’Idea di città di Rykwert.
Eddie che aveva vinto il McKnight Scholars Award ed il Javits Award in Neuroscienze. Eddie che se n'era fregato di tutto e che per amore o non so cosa aveva messo a repentaglio la sua carriera ed un giorno era partito per Troy. Eddie che viveva da due anni nel rimorso e nel rancore e che alla fine ci aveva ripensato. Eddie che sarebbe presto diventato Associate Professor al Columbia University Medical Center. E che quindi se ne sarebbe presto ritornato a NYC, dimenticando la mestizia dell’up state NY.
Eddie sempre solo e che stavolta c’aveva creduto davvero.
Eddie ancora una volta solo.

Non riusciva a comprendere come avesse potuto davvero credere di voler sposare quella creatura così diversa da lui. Ordinata, dozzinale, scialba e sostanzialmente ignorante. Ma forse era proprio questo il punto, si disse.

Denise che lo cercava sempre, il giorno come la notte.
Denise così splendidamente inopportuna.
Denise così delicata e bisognosa di protezione.

Che quadretto triste, pensò e rise.

Cercava di tenere gli occhi fissi sul vetro opaco della finestra, mentre sentiva la rabbia crescere. Poggiò il bicchiere su un foglio. La scritta “transfers nervosi (neurotizzazioni di vario tipo soprattutto nelle lesioni di plesso brachiale: intraplessuali, extraplessual” si annacquò trasformandosi in un imbroglio di inchiostro.

Il disco era finito, gli altoparlanti tacevano. I raggi rosarancio del tramonto sulla città coloravano la sua fronte.

Eddie non riusciva a ricordare l’ultima volta che aveva pianto e si stupì al pensiero che in fondo, ora non ne aveva proprio alcuna voglia. Fanculo, gridò. Ma piano.

Quella donna che adesso odiava con tutto se stesso non sarebbe più tornata, non avrebbe mai fatto un passo indietro nella sua direzione, non gli avrebbe mai concesso una uscita di scena più rinfrancante per il suo orgoglio svilito.

Ora tutto era finito e in lui rimaneva l’angoscia di non aver capito prima che forse niente – ma proprio niente - era mai iniziato. Intendiamoci, un' ottima intesa sessuale, si disse.

Sogghignò di nuovo pensando che questa era proprio un’espressione da Denise, presa direttamente da una di quelle terribili riviste che chissà quante volte le aveva visto ammonticchiare al lato del letto.

Cosa ti è rimasto vecchio mio? Si chiese ad alta voce – e ciò lo infastidì non poco -. Un buon disco di jazz, mezza bottiglia di whisky e la sensazione che ti lascia il sapone quando ti scivola via dalle mani, si rispose tacendo.

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