the dust of bunker hill

Tuesday, May 30, 2006

The Top5*

- too much meat in the Taco
- hanging loose
- major and minor
- gapping apart
- perfect


* i vecchi tempi non si scordano mai

Friday, May 26, 2006

the Brown Bag*

Here there are two Brown Bag. one is the professional seminar at lunch time and the other is the following.
"$12.99" "Debit or Credit"

"Debit"

"$14.03"

"thanks man"

"take it easy"

and when you get out you have your brown bag. it is so strange. why it is illegal to show something that is not illegal to purchase? you can legally buy what you cannot legally show!!!
remember that you can buy with credit, debit or cash.....but do not show.
at the end you can legally drink at your friend's back yards.

*per la Lost

Thursday, May 25, 2006

La situazione di Maggie e Cliff

Maggie poggiò la testa al vetro della finestra.

Cliff stava andando al lavoro. Maggie come tutte le mattine se ne stava lì ad aspettare di vederlo spuntare da dietro l’angolo diretto alla fermata del bus. Eccoti, pensò Maggie. Cliff si voltò e la trovò subito con lo sguardo. Poi sorrise e agitò il braccio, la mano aperta, come un bambino.

Siamo distanti io e te, pensò Maggie. Eppure tutte le mattine, quando questa scena si ripeteva, aveva sempre la sensazione di vedere negli occhi di suo marito, qualcosa, che a parole Maggie proprio non saprebbe spiegare. Un sentimento sincero, la cui immagine le sembrava tanto più nitida quanto Cliff le era fisicamente più lontano, proprio come in quel momento.

So bene che nome gli daresti tu, sussurrò Maggie a quel minuscolo Cliff che saliva sul bus.

Mi vuoi bene, a modo tuo, come è giusto che sia, come tutti facciamo, si disse.

Sue stava finendo i suoi Kellogs®. La guardò e pensò. È proprio una fortuna che di me abbia ripreso solo la linea delle sopracciglia, che in fondo è l’unica cosa che salverei del mio viso, osservò. La linea delle sopracciglia?, le avrebbe ripetuto ridendo Cliff se solo avesse potuto ascoltarla.

Parli strano, le diceva sempre. Sono una bibliotecaria, gli rispondeva.

Sì tesoro, ora però corri a vestirti, così ti accompagno a scuola, fece Maggie a Sue. Toh, il mio viso, pensò quando si accorse di essere davanti allo specchio. Ogni volta era per lei una sorpresa arrendersi all’evidenza di quanto la sua immagine la infastidisse. Ma oggi voglio stare allegra, canticchiò e allora corse davanti alla foto sulla mensola all’ingresso. La foto ritraeva Cliff e Maggie, poco più che ventenni nell’estate del 1990 felici come forse non erano più stati. Nei tratti distesi di quella loro espressione svagata Maggie trovava sempre il coraggio necessario per andare avanti. E così fu anche quella mattina. Sorrise e finì di sparecchiare.

Sue la guardava dalla fessura tra la sciarpa e il cappello, tirandole la manica del cappotto. Ora era lei a raccomandarle di fare presto. Maggie le rispose ridendo che era la prima bambina che le fosse mai capitato di vedere impaziente di andare a scuola. Erano già per la scale quando Sue le spiegò che quel giorno era diverso e le parlò di colori, di composizioni e di Phoebe che aveva un gatto nuovo e che lo avrebbe portato in classe, se la maestra glielo permetteva. Maggie la ascoltava in silenzio, stringendole la mano e le sembrava di vederle mentre camminavano per il viale che separa la casa dalla scuola e che è sempre così tranquillo.

Passo dopo passo sfilavano al loro fianco alberi alti e spogli i cui rami si stagliavano nodosi tra i lembi di un cielo cupo e basso. La malinconia e la miseria di quello scenario avevano su Maggie un fascino inspiegabile e che la rendeva serena. Pensò ai versi di una poesia.

Parli strano Maggie! Sono una bibliotecaria, si disse.

La sera prima Cliff le aveva confidato tutta la sua angoscia, la paura di poter perdere il posto. Anche lui, come gli altri alla Menands Fedex®. Aveva gli occhi rossi e stringendo i pugni le aveva ripetuto per l’ennesima volta che aveva sbagliato a lasciare il college. Le aveva parlato con rassegnazione, quasi sussurrando, e poi si era addormentato.

Cliff, non ce l’ho con te. Per niente, credimi, aveva pensato Maggie. Eppure nel sentire che aveva preso sonno così facilmente, si era sentita maledettamente irritata. Era notte fonda quando si era alzata e era andata in bagno. Aveva chiuso la porta e con l’asciugamano premuto contro il viso aveva pianto.

Maggie non sapeva il perché. Non sapeva cosa ci fosse che non andava. Forse è che tu hai sempre qualcuno lì pronto ad ascoltarti, forse è che tu sai sempre girarti su un fianco e addormentarti, come se nulla fosse, aveva pensato.

Chiusa nel loro piccolo bagno, Maggie aveva aveva pianto in silenzio per non svegliarli.

Si era tolta la maglia dei Knicks con cui dormiva, bagnata di sudore e lacrime, e aveva messo la testa sotto al rubinetto aperto. Non era riuscita a ricordarsi quando Cliff gliela avesse regalata e questo pensiero si era mischiato insieme agli altri mentre se ne stava seduta seminuda sul bordo scrostato della vasca, l'asciugamano logoro e umido in mano, aspettando che il respiro le tornasse regolare.

Maggie aveva pensato a molte cose mentre la notte passava lenta.

Alla fine aveva trovato una maglietta pulita nella cesta dei panni da stirare ed era ritornata a letto. Nella quieta luce bianca della luna aveva spiato l’espressione distesa del viso Cliff. Nonostante il fatto che abbiamo la stessa età tu sembri più giovane e questo credo che mi dispiaccia, pensò Maggie.

Ogni volta che pensava al viso Cliff, Maggie sentiva nuove paure nascerle di dentro, ma non aveva mai avuto il coraggio di affrontarle, di razionalizzare il timore che aveva di perderlo e così finiva sempre per fuggire nelle isole felici della sua mente.

E così ho fatto questa notte, correndo con il pensiero ai tanti episodi della nostra vita da ragazzi, si disse Maggie ripensando a tutto sulla strada che dalla scuola di Sue l’avrebbe portata alla Biblioteca. Ricordi quella volta che andammo Portland? E quella sera a casa dei Santagata, quando facevo da baby sitter al piccolo Julius? Aveva pensato Maggie, la notte precedente cercando di prendere sonno.

Si era persa ormai in un torpore che non era né sonno, né ricordo, aveva disteso il braccio a cercare il cuscino e aveva sentito la sua mano fermarla. Cliff l’aveva guardata senza dire nulla, sorridendo, gli occhi semichiusi. Ripensandoci Maggie si convinse del fatto che doveva averlo guardato con un'espressione davvero incredula. Cliff le aveva sorriso e le aveva sussurrato due parole. E Maggie era stata felice.

Avevano fatto l’amore e Maggie lo aveva stretto a sé con tutte le forze che aveva. Ma anche ora mentre si sedeva al suo tavolo ed accendeva il pc, mentre suonava piano il jingle di Windows ricordava tutto con molta confusione. Ricordava la loro tenerezza ed il piacere che l’aveva sorpresa in bilico tra il riso e il pianto. Poi Cliff l’aveva lasciata e l’aveva guardata negli occhi e anche se era buio Maggie aveva riconosciuto sul suo viso un’espressione complice e impertinente e che l’aveva fatta ridere. Anche Cliff aveva riso.

Mentre il telefono squillava e qualcuno le parlava di nuove accessioni e sul display del suo Nokia® lampeggiava il promemoria REGALO PER SUE! Maggie ripensò a quei momenti quieti in cui lei e Cliff se ne erano stati distesi ancora ansimanti. Maggie aveva fissato a lungo un punto sul soffitto.

Avrei voluto dirti tante cose Cliff, avrei voluto chiederti di fare ancora l’amore, fino al mattino, ti avrei voluto baciare e gridarti tutta la mia gratitudine perché erano giorni che mi sentivo persa e tu ora mi avevi fatto ritrovare, mi sentivo ridicola ma non mi importava, pensò mentre la sua collega Elisabeth Ross, per le amiche Lizzy, le mostrava il suo nuovo paio di stivali Gucci® che il suo Ted le aveva regalato la sera prima.

Quando si era voltata verso di lui, Cliff si era già riaddormentato.
Sai quello che mi passa dentro, stupido? Te ne importa almeno? Avrebbe voluto urlargli. Ma tacque.

Si era stretta a lui e lo aveva baciato lievemente sulla spalla, attenta a non svegliarlo ancora.
Non riuscivo ad avercela con te. Non riesco mai ad avercela con te Cliff, si disse mentre Lizzy le chiedeva a cosa stesse pensando.

Maggie aveva chiuso gli occhi e nella stanza buia e silenziosa aveva sussurrato qualcosa che era risuonato lieve tra le lenzuola. E poi ancora insistentemente nella sua testa per minuti e minuti. Fino a che non si era addormentata.

Wednesday, May 24, 2006

Gelati!!!! Gelatiiiiiii!

The Lost Generation

quello che mi fa veramente rabbia è che Loro riuscivano a trovare il bello delle donne in ognuna di loro. erano capaci di amare per quello che era il momento.
nulla di più nulla di meno.
…day by day……
questo li ha portati a vivere tutto. unlimited.
senza rimpianti……forse con qualche rimorso!

Tuesday, May 23, 2006

gelati al Pistacchio*

qui tutti li amano e tutti li comprano o meglio li usano o meglio li contano. è impressionante come tutti qui siano interessati, istante per istante, ai gelati al pistacchio!
è una mania, una ossessione e se ti capita di esserci per te diventa una persecuzione.
ovunque. e poi li ordinano sempre in modo decrescente! minuziosamente. meticolosamente.
ma che ci faranno mai con questi gelati al pistacchio se poi tutti usano The Credit Card?!!!!!
eh si, perchè qui se noncellai non sei nessuno. è un MUST. conta più del tuo ID. anzi, è il tuo ID.
eppure, tutti cò stò gelato al pistacchio!

*in onore der'Cazzaro

Monday, May 22, 2006

the Snap

era questo quello che pensava......Snap!!!!....ed è fatta.
questa non è la realtà ma la fotografia.
questo nella realtà non lo cogli, lo vedi solamente............

Sunday, May 21, 2006

The Photographer

Quando furono le due precise, Julius si infilò le Nike® che aveva lasciato sotto il bancone, si alzò e abbassò la saracinesca. Si chiuse la porta del retro alle spalle e in un minuto fu in strada.

Dopo pochi metri si fermò, tornò sui suoi passi riprese il vicolo e quando fu davanti alla porta tirò la maniglia con forza come se dovesse saggiarne la resistenza. Era chiusa.

Bene, si disse e si rimise a camminare.

Avvolto dall’aria fresca della primavera di Troy, Julius si tastò col dorso della mano il fondo dello zaino. Si sentì rassicurato nel riconoscere la solida consistenza della sua D2x e proseguì più spedito.

Bene, si disse di nuovo.

D’un tratto si arrestò e tirò fuori la macchina. Click.

Julius fotografò qualcosa. Non uno dei passati che si accorsero di lui riuscì a capire con esattezza cosa ma nessuno sembrò curarsene più di tanto.

Julius si fermò al centro del marciapiede e per alcuni minuti se ne stette ad occhi chiusi i mezzo alla gente che passava spedita. Rosemery e sua sorella Carol, con in mano le borse della spesa, concordarono sul fatto che Julius doveva essere assorto in un pensiero davvero molto importante per starsene lì impalato in mezzo alla folla.

Fotografare un pensiero non sarebbe male, si disse Julius. No, non sarebbe affatto male.

Julius Santagata era uno a cui piaceva fare solo una cosa nella vita, scattare fotografie.

A chiunque. A qualunque cosa. A qualunque ora ed in particolare nel primo pomeriggio, quando aveva cioè un po’ più di tempo da dedicare a se stesso visto che il giorno lavorava e la sera doveva occuparsi di suo padre Antonio Santagata, malato, imbastardito dagli anni e che non ne avrebbe avuto ancora per molto.

Non c’erano donne, amici o altro che tenesse. Quella era la sua stramaledetta vita e lui si sentiva nato al solo scopo di assolvere a questo compito, fotografare.

Questo era quello che pensava di sé e anche se credeva fermamente che in genere l’opinione che si ha di se stessi è sempre un’opinione sbagliata, nel suo caso Julius pensava proprio di avere ragione.

Durante la pausa pranzo lasciava il negozio di fotografo di Charles Finley dove lavorava da commesso e si metteva in marcia per le strade della città. Senza alcuna meta girava per tutta l’ora concessagli dal suo capo al solo scopo di fermare il mondo, e per lui il mondo era quell’angolo dello stato di New York, nel display della sua D2x comprata coi soldi messi da parte dopo due anni di duro lavoro.

È proprio così, si disse e si rimise a camminare.

Proprio sotto l’insegna della Biblioteca, vide Meggie e la sua piccola Sue scorgere Cliff dall’altro lato della strada. Con le bocche spalancate entrambe gettarono le braccia al cielo come se qualcuno gli avesse puntato contro una pistola. Click.

Papà, gridò Sue. Quando Cliff le vide sorrise e gli corse incontro.

Il furgone di Moe, frenò bruscamente e Cliff lo mandò al diavolo. A Julius non piacevano affatto i modi violenti di Cliff e pensò che forse era il caso che qualcuno prima o poi gli facesse un certo discorso. Ma poi si distrasse pensando ai soldi che gli mancavano per comprarsi il nuovo obiettivo e si rimise a camminare.

Quando fu all’angolo tra la 21-esima&Hoosick, Julius si sentì chiamare da una voce che conosceva.

Young-Joo poggiò la sua mano piccola e bianca sulla sua spalla. Julius si fermò e si disse felice.

In realtà non aveva la minima voglia di fermarsi. Non voleva parlare di quanto era successo la sera prima ed era anzi molto in imbarazzo del fatto che quella ragazza coreana fosse stata così carina con lui e gli avesse sbottonato la patta prima ancora che fosse iniziato il secondo tempo del film ma diavolo lui voleva solo vedere un film e non era roba da Julius quella di farsi toccare nelle parti basse da una ragazza conosciuta il giorno prima e per di più durante la proiezione di X-Man.

Young-Joo gli rimproverò buffamente di essere stato brusco nel salutarla e Julius si sentì offeso.

Forse sarò stato brusco ok, ma avrò avuto i miei accidenti di motivi, pensò ma non le disse niente.

La gente non si domanda mai il perché delle cose, rifletté Julius mentre Earl mollava uno schiaffo a suo figlio Vinnie. Click. Qualunque cosa abbia fatto quel piccolo delinquente è poco, si disse Julius, ripensando a quella volta che Vinnie era entrato nel negozio e, Julius ne era sicuro, aveva fatto sparire la Coolpix incautamente lasciata sul bancone dal signor Finley. Per quell’episodio Julius rischiò il posto anche se non c’entrava un bel niente, così si disse: picchia duro Earl, e rise.

Poi imbracciò la macchina e scattò a ripetizione sulle gambe di due pattinatori, sulla borchia cromata di una Pontiac® del ’56, su una cassetta delle lettere illuminata di tre quarti da un tenue raggio di sole, sulle facce curiose della gente assiepata davanti alle vetrine del negozio di Jethro. Click.

Fotografò il volto di una bella ragazza dai tratti irlandesi e fu lì che pensò che se proprio un giorno si doveva sposare non sarebbe di certo stato con una piccola coreana dal muso schiacciato ma piuttosto con una florida irlandese dai fianchi larghi e lo sguardo sincero e annacquato. Ma non era questo il momento per pensieri del genere, si disse e in fondo lui non aveva ancora vent’anni.

Fotografò la luce blu del lampeggiante e la scritta ambulance scritta da destra a sinistra sul cofano di monovolume che procedeva piano ora che si era fatto più appresso al gruppetto di gente. Click.

Ne scese un uomo grassoccio con la fronte sudata, una valigetta arancio, un fonendoscopio luccicante al collo.

La barella era di un bel giallo carico e il contrasto con l’uniforme blu del portantino fu molto gradita da Julius.

Quando riconobbe il vecchio Antonio sdraiato sul marciapiede mentre i medici tentavano di capire cosa avesse, Julius si sentì d’un tratto debole e rimpianse di non aver mangiato.

La faccia di suo padre era tirata in una smorfia.

Julius scattava e scattava foto ma non riusciva a muovere un passo.

Mentre i secondi diventavano minuti si accorse d’un tratto che il suo ginocchio sinistro si era messo a tremare visibilmente.

Ci diresse l’obiettivo contro, come fosse un qualcosa che lo potesse guarire. Click.

Le porte dell’ambulanza si chiusero. Portavano via suo padre.

Julius era ancora piantato nell’asfalto all’altro lato della strada quando Jethro si accorse di lui.

La sua faccia gli si faceva sempre più vicina.

Jethro disse qualcosa, qualcosa che Julius non afferrò

Grazie, rispose ad ogni modo.

Poi si sedette e guardò la sua mano tremare.

Tremava senza posa, scuotendogli il braccio e la spalla anche.

Il corpo di Julius tremava e lui non riusciva a farlo smettere.

Ad ogni modo si diresse l’obiettivo contro la mano e sorrise.

Il traffico aveva ripreso a scorrere.

Il gruppetto di curiosi si era oramai disperso.

Click.

Friday, May 19, 2006

Penombra

Thursday, May 18, 2006

Luci e Ombre*


* il cielo è proprio lì dietro

"il cielo sopra Troy*"

vado al Union Building a mangiare Tacos. Oggi è Tuesday e i Tacos costano solo $1. ha piovuto tutta la mattina.
io dalla 8th&Federal vado verso la 15th. cammino a testa bassa per vedere i riflessi del sole sulle pozze d’acqua. Antonello lo dice sempre che i riflessi sono una manna dal cielo per le foto.
tra due palazzi le nuvole lasciano spazio ad un celeste color sigla dei Simpson. impressionante. continuo a camminare. ora vedo tutto in modo diverso, quasi pulito. avete presente il celeste simpson!?! con le nuvole bianche. qui è proprio cosi.

“two Tacos, soft please”
“with what?”
“salad, tomato, cheese, black oliv, hot pepper”
“thaz'it? two Dollar”
“have a nice day!!!”
“bye”

tornando verso l’ottava il celeste è sempre li......quasi a ricordarmi che qui è sempre celeste. ma quel celeste, non altri!!! sempre quello. sempre.


*Jake, il titolo è in tuo onore

...senza il North Face

Bye bye black bird

Ecco la sola cosa buona che era rimasta della loro storia. Il quintetto di Davis riempiva il piccolo appartamento mentre Eddie ancora col North Face® Nuptse addosso si lasciava sprofondare nel divano.

Puttana, pensava. Quella puttana mi ha proprio fregato.

Denise, Denise…

Fuori l’aria fredda di Troy era scossa dal vento e la gente stentava a tenersi in piedi. Aria di neve, si disse.

Dalla finestra della cucina, vide una busta con il logo del negozio di Jethro volteggiare all’altezza del secondo piano della biblioteca. Vide Maggie, dietro i vetri rovesciarsi addosso una tazza di caffè e poi abbracciare Spike, il suo gatto, sorridendo. Dolce Maggie, Cliff deve essere davvero un idiota per trascurare quel fiore, pensò.

Si spogliò, si guardò attorno. Che orrenda carta da parati, ma dove se ne stava lui mentre quella stronza riduceva il suo appartamento a una bomboniera? L’orribile gusto provinciale del Midwest, pensò e fece per sputare, ma si trattenne. Come sono educato, si disse.

Domani Denise sarebbe passata per portare via le sue ultime cose approfittando dell’assenza di lui, fuori città per lavoro e forse, forse, avrebbe portato via anche tutti i suoi orribili ninnoli, pensava.

Eddie, che aveva sempre vissuto a Manhattan e che lavorava oramai da due anni all' Albany Medical Center, nascosto nella sua sciarpa gialla, si versò tre dita dalla bottiglia Cragganmore che un suo paziente gli aveva portato dall’Europa e si sedette, ridendo di quella volta che Denise tornò a casa con un JD sotto il braccio.

Era oramai più di un mese che non si vedevano, che era ritornata a casa dalla madre nell’abisso da dove era venuta. Quel mese lui lo aveva trascorso proprio come stava passando questo quarto d’ora di ritorno dall’ospedale: buttato sul divano a cercare di capirci qualcosa.

Eddie, che era poco più un ragazzo.
Eddie che non aveva mai chiesto un dollaro a Jack e Hilary, i suoi imbalsamati genitori, oramai da anni tumulati vivi nella loro villetta nel Maine.
Eddie che aveva sempre studiato, studiato e lavorato.
Eddie che conosceva l’arte e amava l’architettura e aveva stupito tutti quella sera a casa di Randy Cobham quando dinanzi a Hal Foster aveva discettato sull’Idea di città di Rykwert.
Eddie che aveva vinto il McKnight Scholars Award ed il Javits Award in Neuroscienze. Eddie che se n'era fregato di tutto e che per amore o non so cosa aveva messo a repentaglio la sua carriera ed un giorno era partito per Troy. Eddie che viveva da due anni nel rimorso e nel rancore e che alla fine ci aveva ripensato. Eddie che sarebbe presto diventato Associate Professor al Columbia University Medical Center. E che quindi se ne sarebbe presto ritornato a NYC, dimenticando la mestizia dell’up state NY.
Eddie sempre solo e che stavolta c’aveva creduto davvero.
Eddie ancora una volta solo.

Non riusciva a comprendere come avesse potuto davvero credere di voler sposare quella creatura così diversa da lui. Ordinata, dozzinale, scialba e sostanzialmente ignorante. Ma forse era proprio questo il punto, si disse.

Denise che lo cercava sempre, il giorno come la notte.
Denise così splendidamente inopportuna.
Denise così delicata e bisognosa di protezione.

Che quadretto triste, pensò e rise.

Cercava di tenere gli occhi fissi sul vetro opaco della finestra, mentre sentiva la rabbia crescere. Poggiò il bicchiere su un foglio. La scritta “transfers nervosi (neurotizzazioni di vario tipo soprattutto nelle lesioni di plesso brachiale: intraplessuali, extraplessual” si annacquò trasformandosi in un imbroglio di inchiostro.

Il disco era finito, gli altoparlanti tacevano. I raggi rosarancio del tramonto sulla città coloravano la sua fronte.

Eddie non riusciva a ricordare l’ultima volta che aveva pianto e si stupì al pensiero che in fondo, ora non ne aveva proprio alcuna voglia. Fanculo, gridò. Ma piano.

Quella donna che adesso odiava con tutto se stesso non sarebbe più tornata, non avrebbe mai fatto un passo indietro nella sua direzione, non gli avrebbe mai concesso una uscita di scena più rinfrancante per il suo orgoglio svilito.

Ora tutto era finito e in lui rimaneva l’angoscia di non aver capito prima che forse niente – ma proprio niente - era mai iniziato. Intendiamoci, un' ottima intesa sessuale, si disse.

Sogghignò di nuovo pensando che questa era proprio un’espressione da Denise, presa direttamente da una di quelle terribili riviste che chissà quante volte le aveva visto ammonticchiare al lato del letto.

Cosa ti è rimasto vecchio mio? Si chiese ad alta voce – e ciò lo infastidì non poco -. Un buon disco di jazz, mezza bottiglia di whisky e la sensazione che ti lascia il sapone quando ti scivola via dalle mani, si rispose tacendo.

Wednesday, May 17, 2006

C'era Sidvinicious

Sono tornato che era notte. Mi fischiavano ancora le orecchie.
Bene così, mi sono detto, mentre la porta di casa rastrellava le lattine di birra.
Jude, sei tu? Fa lei, dal fondo del buio.
Non rispondo, non accendo la luce. Basta quel poco di bianco che traspare dai vetri opachi, anneriti dallo smog dell’autostrada. Luise è sdraiata sul divano, ubriaca come al solito. Deve avere anche vomitato, lo intuisco dalla sensazione di molliccio che ho sotto i piedi e dal fetore della stanza. Passa a razzo una macchina mentre spalanco la finestra, forse una Chevrolet® Malibu™, penso.

Ehi Joy, come sono stati i Mad Season? Mi chiede. Erano i Pearl Jam, faccio io tirandola su.
I Pearl Jam, i Pearl Jam.
E intanto penso a Christine e a perchè diavolo non ha voluto che la riaccompagnassi a casa. Almeno, penso, mi avrebbe risparmiato questo schifo.
Ci avrebbe pensato Jude, forse.
Dov’è Jude? Le faccio scolandomi un avanzo dell’ultima Bud®, ha quindici anni forse sarebbe bene che se ne stesse a casa qualche volta, dico. E già so che il sangue ha preso a girare, più forte del dovuto.
Luise bofonchia qualcosa, bofonchia di un concerto a NYC.
Sid, Sidvinicious.
Sid, Sidvinicious.
Ma Jude ha quindici anni cazzo e sono le quattro del mattino e Troy è 153 miglia a nord di NYC.
Mentre penso piano che forse dovrei parlare alla mia sorellina e spiegarle come ci si comporta e che è a me che deve chiedere il permesso per fare quello che ha voglia di fare che non è studiare, già mi accorgo che sto sbraitando contro Luise.
Sei un piccolo uomo, mi fa ridendo.
Tua sorella è sveglia, dice mentre io già l’ho colpita sulla faccia.
Stai zitta, dico. Stai zitta.
Ma lei niente, ride e biascica le sue idiozie. Sembra divertirsi molto mentre le stringo i polsi e le grido di tacere. Ride e mi dice che c’era Sid, Sidvinicious e che Jude è andata.
Tutto l’amore che mi manca l’ho dato a mia sorella.
Esco che albeggia sullo squallido sobborgo nell’Hudson Valley, sul distributore di Johnny McGee, sulle livide baracche, sui catorci parcheggiati davanti all’officina del vecchio Moe. Sul biglietto del concerto che mi ritrovo in tasca e dietro cui Christine aveva scritto con cura il suo numero.
Penso a Jude, a quello che l’attende. Penso a nostra madre che per lei sarà sempre Luise l’ubriacona, come la chiamano qui.
Mi accendo una Mapleton® e mi siedo sui gradini di casa.
Dall’altro lato della strada Johnny ha spento le insegne luminose, arriva un cliente.
Sono le cinque della mattina, Jude è lontana.

Monday, May 15, 2006

Welcome back


thaz'it

Saturday, May 13, 2006

1996-2006: the Long Road

Lidia, Antonello, Andrea, Pierpaolo. la metro. il Palaeur. NO CODE.
Up-State NY…..i bustaroli, il cash-back……..insomma qui.
prima di andare al concerto sono stato dal Barbiere. questo ragazzo è fenomenale……dovrebbe andare al College invece di lavorare come scarosiello, mi disse una volta uno che conobbi da Walmart. Uno che veniva dal mare. Che ci farà poi uno cosi qui? me lo sono sempre chiesto!!
Joy mi ha raccontato che il nonno è stato il primo barbiere della città. quando questo posto era il primo Stop da Nord sul fiume Hudson per andare a New York City. Bei tempi quelli. Gli diceva il Nonno.
Fulton&4th….aspetto il 24 diretto a Down Town dove alle 9 inizia il concerto. Pearl Jam – PEARL JAM.
Sono le 11 e 45. io mi fermo al pub proprio di fronte all’Arena prima di prendere il taxi per la 21-esima&Hoosick.


..............they don’t scurry when something bigger comes their way..........

don’t shit where they’re not supposed to

don’t take what’s not theirs, they don’t compare..........................


thaz’it

Thursday, May 11, 2006

Posted



thaz'it

Wednesday, May 10, 2006

Il mercato di via Rosati

I’scarciof’l a mill’lir,
I mulagn’n a cingh’cind lir,
I marasciul agggrattììììsssssssss,
I cucuzzillll a dujcind’lir.

Madddai..........non è possibile che c’è stato un aumento di domanda di greggio da parte del mondo!!!!!!

thaz’it

La Cina e la speculazione Petrolifera

eh vabbhè che sono 1.4 billion people……ma quanto carburante consumano per aver portato il mondo ad un nuovo shock petrolifero da domanda?????? me lo chiedo da molto tempo ogni volta che mi fermo a fare benzina (per la precisione la mia macchina va a diesel….ma è come se andasse a benzina!!!!!).
nessuno s'è mai chiesto se c’è stato effettivamente questo aumento di domanda di greggio da parte del mondo.
possibile che questo paese/continente da un giorno all’altro ha scoperto l’uso del petrolio. è pur vero che oggi tutti vanno a produrre in Cina ma questo non vuol dire nulla.
appunto vanno a produrre. cioè hanno spostato la produzione, non è aumentata. ne la produzione ne la domanda mondiale. altrimenti saremmo a cavallo. altro che cavaliere.
se tutti si lamentano del fatto che non ci sono soldi…chi compera questo aumento di offerta mondiale dovuto ad un precedente aumento della domanda di greggio? i cinesi? non credo. l’economia ha le sue regole e i suoi tempi (e questo non è il luogo adatto per discuterne).
forse è da chiedersi se il nuovo modo di fare la speculazione passa per il “dare la colpa agli altri”!!!! eh vabbhè che sono 1.4 billion people……
allora ricapitolando: i) dicono che la domanda mondiale di greggio è aumentata (lo dicono i numeri….ma chi li scrive sti numeri!!!!!),
ii) la Cina chiede più greggio (senza parlare dell’India), iii) la produzione mondiale si sta spostando in Cina, iv) quindi si dovrebbe ridurre la richiesta dei paesi che hanno visto una fuga di produzione all’estero, v) tutti dicono che non si arriva a fine mese (ergo non è possibile che il mondo riesca ad assorbire l’aumento dell’offerta dovuto ad un precedente aumento della domanda – di greggio - … eh vabbhè che sono 1.4 billion people……), vi) se si chiede più greggio è perché si deve aumentare l’offerta ipotizzando di soddisfare una maggiore domanda da parte dei consumatori, altrimenti perché e per chi produrre di più!!!?!?…..eh vabbhè che sono 1.4 billion people……, vii) concludo dicendo che i cinesi in se non possono portare ad un aumento della benzina (per la precisione la mia macchina va a diesel!!!!!!!) senza che qualcuno ci speculi sopra.
dimenticavo di dire che viii) il nuovo modo di fare speculazione è “faccela crede”.
altrimenti che stiamo a parlà in cinese!

thaz’it

Barbershop

Il ragazzo sa il fatto suo. Non c’è che dire, tutto regolare.

Mi ha fatto un signor taglio, davvero. Penso che una passata della mia gelatina Clever® sarebbe ok, gli dico. E allora lui apre il barattolo e con l’indice e il medio uniti a paletta raspa una mezza curva nella sostanza molliccia e profumata di gelatina Clever®.

Rosemary adora quell’odore. Io, in fin dei conti la metto per lei sta roba sulla testa.

Dice che assomiglio a Babe Ruth con questa bella scriminatura e i capelli lisciati da una parte.

Io rido e le dico: certo cara. È sempre la stessa ragazzina di trent’anni fa la mia piccola Rosemary.

Mi ha anche regalato la maglia degli Yenkees. E io hai voglia a dirle che ho sempre tenuto per i Dodgers e che caspita sono pur sempre nato a Brooklyn! Ma lei niente.

È tutta matta Rosemary. Ma è la mia Rosemary e a me va bene così.

Il ragazzo finisce il suo lavoro e con aria soddisfatta mi fa sfilare lo specchio attorno alla testa.

Io non ho fatto in tempo a vedere un bel niente. Ma gli dico che è ok.

Sono contento che sei soddisfatto Moe, dice. Io gli do un buffetto sulla spalla a Joy e gli dico che la mano ce l’ha e che il sangue non tradisce e che con un talento come suo padre lui non poteva che diventare il miglior barbiere di Troy nel giro di pochi anni.

Lui mi sorride e mi dice che dà solo una mano per l’estate e che a settembre andrà al college. Ma non qui a RPI, all’ovest, in Texas dice.

Io gli dico che se per lui è ok è ok anche per me ma che un talento è un talento e non deve andare sprecato. Ma è tardi e Joy se la gode sgranocchiando una barretta Snickers® sulla soglia del negozio di barbiere che era di suo nonno Joy Sr., e che fu il primo a tagliare i miei capelli qui a Troy quando arrivammo da Brooklyn e che mise per primo in testa a Rosemary la storia di questa assurda somiglianza con Babe Ruth.

Sulla strada di casa mi fermo al Wal Mart® a comprare un po’ di quei sottaceti Smills® che piacciono tanto alla mia Rose. Alla cassa un giovanotto che non è di qui ride con la cassiera che le spiega cosa significa CASHBACK. Questi italiani! Il tizio pensava che a fare la spesa ci guadagnasse pure dei verdoni! Però è simpatico e ridiamo un po’ tutti della sua idea.

E il sole entra dolce e di traverso dalle persiane del Wal Mart®.

A casa Rosemary sta cucinando lo stufato di montone con gli gnocchi di pane.

Oggi è un mercoledì di maggio. Ma non chiedetemi il numero, non lo ricordo.

Sunday, May 07, 2006

il telefono Cellulare

in America la telefonia funziona in modo diverso. non si pagano le telefonate ma si comperano i minuti (almeno per la telefonia mobile). cosi ti ritrovi a pagare una canone di $39.99 più le tasse per poter parlare 500 minuti durante la settimana più unlimited durante la sera e il fine settimana. figho!!!!!!! sai il risparmio. con $39.99 ti sei assicurato di poter chiamare per tutto quel tempo senza pagare nulla in più.
ma c’è un piccolo trucco. qui ti scalano i minuti anche se ricevi una chiamata. che bello!!!
cosi non ti capita come in Italia che ti dicono “ci sentiamo” e nessuno chiama…..qui no tanto o chiami tu o chiamo io, i minuti li scalano a tutti e due.
quindi al massimo ti dicono “non mi chiamare”.
aggiungo inoltre che qui gli sms non li usa nessuno (sono a parte rispetto ai $39.99) e che con i cellulari posso funzionare da walky-tolky.
ma come nell’era delle chiamate satellitari il walky-talky…bho!!!!!

thaz’it

il concerto dei Pearl Jam

c’era una ragione per stare qui……..oppure se siete cattolici……dio c’è.
il 2 maggio esce il loro album e poi li ad aspettare per il concerto.
eh no!!!!!!! l’america non è solo cash back o bustaroli!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
il 2 maggio esce l’album e il 12 maggio suonano qui…..proprio qui dove sono io.
c’è sempre una ragione……eh che cazzo!!!!!!!!!!!!!!!!!!

thaz’it

Are you an Actor?

because we cannot place you!!!!!!
no, I’m sorry. I’m an economist

thaz’it


Apple Pie

thaz'it

Friday, May 05, 2006

Do you wanna Cash-Back?

eh?!?!? cash-back?!?!?! ma ho capito bene.
certo che lo voglio. quindi se non ho capito male….faccio la spesa e invece di pagare mi date anche dei soldi cash. che fighata…..l’america!!!!!!!!!!!!!!!!
ma quanto mi date indietro? l’ammontare della spesa? se è cosi aspettate un attimo che prendo altre cose……visto che ci siamo!!!!!!
Poi ci penso è dico: “maddddai non può essere”.
e infatti non è. il cash-back non è nient’altro che un prelievo al Bancomat incorporato nel tuo conto della spesa. quindi quando paghi con il Bancomat, o ATM che dir si voglia, puoi chiedere di farti dare del cash che va naturalmente ad aumentare il conto che paghi.
ecco cosa è il cash-back. l’america.

thaz’it

Thursday, May 04, 2006

Thank you for shopping Hannaford

una delle cose affascinanti di Up-State NY è fare la spesa.
la figura più emblematica che c'è nei super-mercati made in US è il "bustarolo", aka "grocery bagger".
questa figura non è riferita a colui che prende "mazzette"........ma a colui che imbusta la tua spesa.
il modo in cui mette la tua spesa nei sacchetti di plastica è a dir poco emblematico. alla fine ti ritrovi con tante buste quanti sono i tuoi "pezzi" della spesa. 27 alimenti comperati, 27 buste!!!!!!!!!
tanta di quella plasica che ci puoi ricoprire il tuo SUV per tutto l'inverno dalla neve.

e pensare che se il "bustarolo" non c'è, la gente evita come la peste quella Cassa....altrimenti dovrebbe imbustarsi da sola la spesa....che non sia mai detto!!!!!!!!!!!!!

per "par condicio" faccio presente che gli americani sono affascinati dai nostri operatori ecologici. qui non ci sono, intendo come ce li abbiamo noi.

thaz'it